La sopravvivenza del ragno

ovvero del buon uso della libertà

Le fotografie di Daniele D'Orazio raccontano dell'integrazione lavorativa di nove persone con disabilità psichica presso aziende solidali partecipanti al progetto “Art. 3”, promosso dall'Opera don Calabria

di Giulia Lo Giudice

 Nove storie di disabili psichici al lavoro, raccontate attraverso un percorso fotografico di più di 200 pagine che si dipana lungo la loro quotidianità. C'è Alessandro che fa la manutenzione in una piscina, Filippo che cura un piccolo orto, Flaminia che lavora in un asilo nido, Francesco e Lina che fanno le pulizie, Giuseppe e Gabriele che fanno gli aiuto cuoco e infine Sabrina che lavora in un supermercato. Tutti hanno partecipato, assieme ai rispettivi tutor aziendali, al progetto di inclusione socio-lavorativa “Art.3”, portato avanti dall'Opera don Calabria di Roma fin dal 2006 prendendo spunto dal concetto di pari dignità sociale espresso dal terzo articolo della nostra Costituzione. Poiché a volte mostrare è meglio di raccontare, “La sopravvivenza del ragno” è il frutto visivo di questo incontro di integrazione fra persone disabili e non, nell'ambito di diversi contesti lavorativi. “Art.3” è un progetto simbolo: in un periodo di crisi e di recessione come quello attuale, in cui le prime risorse da tagliare sono quelle riservate alle politiche di welfare, c'è il rischio concreto che si inaridiscano anche le coscienze, che la società si ripieghi ancora di più sé stessa in un moto di chiusura generale verso l'altro e verso il diverso. Ecco perché è proprio in momenti come questo, invece, che non si deve perdere di vista l'obiettivo di costruire una società solidale e veramente integrata in tutte le sue componenti, forti e deboli, disabili e non, stranieri e autoctoni: un vantaggio collettivo che produce una condizione di benessere maggiore per tutti.

L'aspetto forse più innovativo che “La sopravvivenza del ragno” sottolinea non è tanto il successo dell'inserimento lavorativo di queste persone, quanto il beneficio economico e sociale che l'integrazione delle parti deboli della società può generare per la società stessa nel suo complesso. La solidarietà e l'inclusione dei disabili non possono essere considerate come un atto di buonismo fine a sé stesso o uno slancio volontaristico, ma come una questione di convenienza sociale. Il vantaggio economico, percepito dalle imprese solidali che hanno accolto presso di sé i disabili e testimoniato dagli stessi lavoratori, è che se nei luoghi di lavoro alienanti la produttività cala, al contrario nei luoghi maggiormente integrati la produttività può migliorare. Un luogo di lavoro che sia in grado di integrare, anche per brevi periodi, persone in difficoltà, può diventare un luogo migliore che incentiva l'integrazione, la collaborazione, la motivazione e, in definitiva, la produttività. Un pezzo di società migliore, insomma, da cui partire per innescare un processo virtuoso.

Ecco perché il progetto “Art.3” rappresenta il simbolo di un segnale di speranza indispensabile per superare la crisi etica ed economica. Ed è esattamente questo che raccontano i tutor aziendali delle imprese che hanno accolto i disabili partecipanti al progetto “Art. 3” per un periodo di tirocinio: superate le ovvie difficoltà iniziali di avviamento al lavoro e la sensazione di disagio diffuso nel rapportarsi verso chi è diverso, le persone hanno sperimentato una vera e propria crescita umana prima che professionale. Un'integrazione che serve sia all'integrato che all'integrante quindi, nella misura in cui entrambi traggono beneficio dall'incontro. Come ha scritto il giornalista Luca Attanasio nella prefazione al libro, “un disabile inserito in un contesto lavorativo non ha solo da prendere (risorse e tempo a chi deve seguirlo - e quindi denaro-, pazienza, assestamenti di pianificazione etc.), ma ha anche molto da dare favorendo direttamente e indirettamente la produzione”. La presenza di queste persone ha stimolato il senso di solidarietà nel gruppo di lavoro, il senso di appartenenza e la condivisione e ridotto l'egoismo, contribuendo a concretizzare un nuovo modello di fare impresa socialmente responsabile. Da un punto di vista strettamente terapeutico inoltre, questo libro dimostra che gli interventi sanitari, per essere eticamente sostenibili, devono essere strettamente collegati agli interventi sociali. Ancora una volta si tratta di un movimento reciproco: da un lato migliorare la qualità della vita di queste persone e, dall'altro, educare tutta la società a stare insieme all'altro attraverso situazioni di apprendimento pratico e collettivo.

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